Andando verso attività ittiche sostenibili

Stiamo andando verso attività ittiche sostenibili. Reti da pesca di nuova generazione, calze da miticoltura in bioplastica. Biodegradabilità, compostaggio e riciclo sono le green mission del futuro.

Come è stato accennato nel mio articolo precedente, destinato a fare un po’ di chiarezza semantica riguardo alla Biodiversità e soprattutto alla Sostenibilità, abbiamo scoperto che quest’ultima indica tutto ciò che non impatta con l’ambiente nonché l’ammontare delle risorse per le generazioni future. 

Tre tipi di sostenibilità

Esistono tre tipi di sostenibilità: la Sostenibilità Ambientale ovvero garantire la disponibilità e la qualità delle risorse naturali, la Sostenibilità Sociale cioè garantire la qualità della vita, sicurezza e servizi per i cittadini e la Sostenibilità Economica ossia garantire l’efficienza economica e il reddito per le imprese.

La sostenibilità ittica

Oggi parleremo di sostenibilità ambientale e più particolarmente di Sostenibilità Ittica. Una tematica molto ampia ma anche molto controversa. La mancanza di linee guide e norme chiare su tale argomento contribuisce a mantenere una grande confusione nella mente degli operatori locali e dei cittadini.

Consentire al consumatore di fare una spesa sostenibile non presenta grandi difficoltà. Basterebbe indicare chiaramente sull’etichetta il modo esatto in cui il prodotto è stato estratto dal mare. Nel rispetto o meno dei requisiti attinenti alla pesca sostenibile.

Purtroppo, il nucleo del problema risiede altrove ed è ben più complesso: parliamo di microplastiche e nanoplastiche disperse nel mare. Nonché di danni causati in modo indiscriminato ai pesci, mammiferi, tartarughe, grandi cetacei e persino agli uccelli.

Il problema delle reti da pesca abbandonate

Le reti da pesca abbandonate, perse o gettate in mare rappresentano spesso una sconosciuta ma importante fetta dei rifiuti marini a livello globale. Che generano serie conseguenze da un punto di vista ambientale e socioeconomico. 

Da vari studi effettuati, si stima che la perdita di reti da pesca possa variare in un range dal 0 % fino al 79.8 % all’anno. Oggi, la maggior parte delle reti da pesca, ma anche delle reti utilizzate per l’acquacoltura, sono realizzate in poliammide, plastica non soggetta all’abrasione causata da sale. Lo scopo è quello di ridurne il costo e aumentare la sua durata. Prima erano confezionate col cotone.

Risolvere l’impatto delle reti da pesca abbandonate

Pertanto, andando verso attività ittiche sostenibili, è fondamentale agire alla fonte del problema: sostituire alle reti in plastica altre in materiale biodegradabile o comunque meno impattante.

Tutt’ora esistono numerosi progetti che mirano ad una gestione più sostenibile. Che pioggia sull’elaborazione di reti innovative adatte al rispetto della biodiversità e delle esigenze economiche di tutti gli operatori del settore.

Il progetto Glaukos

Si pensi, a esempio, al progetto Glaukos, nome della divinità greca dei pescatori. Mira a sviluppare alternative innovative nel settore tessile per tutelare meglio i nostri oceani, riducendo la Carbon e Plastic “footprint”. 

Si tratta di fibre tessili biodegradabili, di cui verrà ridotta l’eco-tossicità grazie a studi scientifici. Sono finanziati da una partnership pubblico-privato fra Unione Europea e un consorzio di industrie che lavorano sulle tecnologie bio-based (programma di ricerca Europeo Horizon 2020).

I principali obiettivi del progetto Glaukos risiedono nell’aumentare la percentuale bio-based dei poliesteri e poliammidi di almeno 50%. Di mitigare l’inquinamento delle microplastiche aumentando il tasso di biodegradabilità di poliesteri e poliammidi di almeno 100 volte rispetto a quello che si trovano attualmente in commercio. Ed infine di conciliare performance tecniche nonché durabilità e valorizzare il bio-riciclaggio per bio-catalisi.

Il progetto Cozza Plastic Free

Andando verso attività ittiche sostenibili, un altro progetto italiano, Cozza Plastic Free”, che vede insieme Coldiretti, Impresa Pesca Campania, Università Federico II, Novamont SpA e Legambiente Campania. Ha per obiettivo quello di sostituire, in tutti gli allevamenti di cozza della regione Campania, i retini in plastica con altri in Mater-bi. Un materiale composto in bio-plastica, biodegradabile e compostabile.

Andando verso attività ittiche sostenibili

La produzione mondiale di cozze (Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura – EUMOFA) è di oltre 2 milioni di tonnellate, di cui mezzo milione in Europa. In Italia, se ne producono circa 70 mila tonnellate e in Campania, dove la cozza arricchisce la tradizione culinaria partenopea, ogni anno si stima una produzione di circa 5 mila tonnellate.

Le calze da miticoltura

Nel 2021, Legambiente ha evidenziato che su 47 spiagge monitorate con il protocollo Beach Litter, sono stati censiti 36.821 tipologie di rifiuti finiti in mare. Di questi oltre 2.600 oggetti sono riconducibili alle attività di pesca: reti e attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, cassette per il pesce, lenze, galleggianti, contenitori per le esce. All’interno di questa categoria l’oggetto più presente (per il 45%) sono le calze da mitilicoltura

Andando verso attività ittiche sostenibili l’adozione di metodi alternativi nell’ambito della mitilicoltura è una scelta necessaria per proteggere il nostro mare dalla minaccia delle microplastiche, che possono finire anche nella catena alimentare. Le calze tradizionale, quanto le reti da pesca attuali, diventano rifiuti speciali, da smaltire secondo modalità precisi e spesso ardue da sostenere, presso i porti di approdo. Le reti in bio-plastica, invece, possono essere raccolte e avviate a riciclo negli impianti di compostaggio, ricavando fertilizzante utile per l’agricoltura. Un processo di economia circolare che rientra negli obiettivi nazionali ed europei di transizione ecologica.

https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/HTML/?uri=LEGISSUM:l28102&from=IT

Se tali reti in Mater-bi dovessero invece essere disperse e finire in mare, si degraderebbero in un arco temporale massimo di 18 mesi. Come evidenziato dalle ricerche sinora effettuate su diversi prodotti realizzati nella bio-plastica prodotta da Novamont. La sperimentazione avviata a marzo 2021 in cinque allevamenti, tra il littorale Domitio e il golfo di Napoli, servirà a testare la resistenza in mare rispetto alle diverse correnti e la forma utile per l’accrescimento dei mitili. Studierà il contributo del materiale alla qualità del prodotto finito e le sue performance in termini di sostenibilità e di riciclo.

L’esperienza della Seabird

Andando verso attività ittiche sostenibili, adesso, non potevo non condividere con voi i traguardi già raggiunti da un’azienda francese nell’ambito di reti bio-gradibili e compostabili.

Con l’ambizione meritevole di lottare contro l’accumulo di plastica negli oceani, dovuto in particolare alle reti da pesca disperse, la SeaBird, azienda nata nel 2011 con sede vicino a Lorient, nel sud-est della Bretagne, ha sviluppato una rete biodegradabile nel mare e compostabile sulla terra ferma.

Andando verso attività ittiche sostenibili

Si tratta della prima rete da pesca con tali caratteristiche in Europa; essa è composta da bio-plastica compostabile (materie vegetali e rifiuti riciclati). È adattabile a diverse attrezzatture da pesca e si degrada nell’ambiente marino. Ma non solo, presenta una resistenza notevole nonché adeguata alle attività ittiche. Risponde anche alle esigenze normativi in relazione all’eco-tossicità e alla regolamentazione europea REACH.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Al21282

Le classiche reti hanno una durata di vita di circa 4 mesi. Ma accumulando sabbia, alghe, sassi e altre forme di vita marina il loro riciclaggio è molto complesso e non avviene spesso. Invece, con questo nuovo tipo di materia prima, le stesse potrebbero essere compostate direttamente al porto di approdo. Oppure, se smarrite nel mare, verrebbero perfettamente integrate alla biodiversità del luogo nel giro di pochi mesi.

Il peschereccio Néréides II

Nel Giugno 2020, il peschereccio, le Néréides II, con sede a Boulogne-sur-Mer, ha imbarcato 1000 m di questa rete innovativa che ha necessitato 4 anni di ricerca e sviluppo tecnico. Nello stesso tempo, sono state avviate le prove per il riciclo di essa nonché uno studio mirato sulla perennità e generalizzazione del progetto a larga scala. L’entità di questa rete biodegradabile imbarcata sul peschereccio ha generato una resa piuttosto equivalente a quella della classica rete. Nonché un grado di deterioramento simile.

Di fronte a questi ottimi risultati, nel luglio 2021, sono stati quindi imbarcati non meno di 3000 m del secondo prototipo. Sono state migliorate le proprietà meccaniche, la struttura ed il colore. Al fine di avvicinarsi ancora di più alla quantità di pescato e alla resistenza della rete tradizionale di plastica.

Andando verso attività ittiche sostenibili

https://www.parc-marin-epmo.fr/

Con la consapevolezza che tali imbarcazioni da pesca possono generare fino a 7 tonnellate di rifiuti, costituiti da rete di plastica non biodegradabile, questo progetto rientra, innanzitutto, in pieno nei piani dell’UE per l’ambiente e rappresenta un traguardo imprescindibile per la tutela della biodiversità marina nonché il futuro dei nostri figli.

I progetti legati al nuovo programma LIFE

I progetti europei e i finanziamenti ad essi collegati sono fondamentali per portare avanti l’innovazione in ambito di tutela della sostenibilità ambientale.

Il progetto TEFIBIO

In Francia, il parco naturale marino del mare d’Opale in partnership con produttori locali ed aziende private (Seabird, Take a Waste, Nautique Conseil) hanno avviato il progetto TEFIBIO di cui l’80% dei 750.000 Euro necessari sono finanziati dall’UE.

L’esperienza Italiana di P.Ri.S.Ma-Med

In Italia, il progetto P.Ri.S.Ma-MED è finalizzato ad innovare la governance e la gestione integrata, nei porti commerciali, di rifiuti e scarti derivanti da pesca, acquacoltura e diporto. Si attua attraverso l’adozione di un piano rifiuti e scarti pesca/acquacoltura/diporto. È un progetto molto importante a causa della palese carenza, nei porti, di spazi di stoccaggio rifiuti e di smaltimento. Per non parlare della assenza totale delle pratiche di riutilizzo della frazione organica.

Andando verso attività ittiche sostenibili

Il progetto coinvolge tutti gli operatori della filiera: pescatori, acquacoltori, diportisti, autorità portuali ed enti gestori

Tale progetto è finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione Territoriale Marittimo Italia-Francia. Ha coinvolto le Regioni Liguria, la Sardegna, la Corsica ed altri enti pubblici e istituti di ricerca. 

Il fine ultimo di questo progetto è quello di sperimentare e poi introdurre buone pratiche (“Good Practice”) nel settore della pesca. Divulgando i risultati ottenuti con altri operatori del settore. Le isole ecologiche introdotte nel porto di Livorno per il recupero delle reti da pesca dismesse sono un esempio.

https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/rifiuti_e_riciclo/index.shtml

Ricerca scientifica, finanziamenti europei, nazionali o privati e cooperazione volontaria tra figure professionali di uno stesso settore che mirano agli stessi scopi, sono le chiavi della buona riuscita di tali progetti. L’importanza fondamentale di essi risiede nella congiunzione nonché assoluta compatibilità tra sostenibilità economica e sostenibilità ambientale. Ci rimane soltanto da augurarsi che tali progetti si moltiplichino in Europa, al fine di mettere un punto finale alle problematiche di inquinamento legate alle attività ittiche. In quanto non basta rimediare ai danni già causati, bisogna tagliare la testa al serpente una volta per tutte!

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