Il battesimo del mare

Tempo di lettura stimata: 8 minuti

“Il battesimo del mare, o Discovery Scuba Diving o Try Scuba o semplicemente la prova subacquea, raccontato da una immaginaria manager milanese in vacanza in un’isoletta sperduta.”

Mi si presenta davanti tutto impettito con un “ciao, piacere, mi chiamo Riccardo e sono l’istruttore subacqueo che ti accompagnerà nella tua prima prova.” È alto, muscoloso, abbronzato ed ha una chioma bionda, lunga e riccia. Cammina scalzo ed ha un paio di tribali tatuati sull’avanbraccio destro e sulla tibia sinistra. Con quell’aspetto così selvaggio assomiglia ad un vichingo.
Per me, super manager milanese in tailleur grigio per 330 giorni all’anno ed in vacanza con la migliore amica di sempre in questa sperduta isola del Mediterraneo, uno così dovrebbero assolutamente abolirlo.

Da un paio di giorni, seduta al tavolino del bar a fianco della casetta che avevamo affittato, guardavo l’andirivieni di persone che frequentava quel piccolo tugurio con la scritta diving center. E vedevo aitanti ragazzi, ansimanti e sudati, che trasportavano delle bombole sulle spalle e persone di mezza età, stempiate e cicciottelle, che ridevano e scherzavano dandosi pacche sulle spalle con addosso delle mute improbabili che non facevano altro che peggiorare la performance del loro giro vita.
Sul piccolo marciapiede adiacente la porticina di ingresso campeggiava un cartello con su scritto, a mano e con il pennarello, “vieni a provare l’esperienza di respirare sott’acqua”.

Avevo deciso di venire in vacanza qui perché sentivo forte il bisogno di staccare la spina. Arrivavo da un periodo difficile e di forte stress. Insieme al mio Amministratore Delegato avevamo appena messo a punto l’ultimo (per il momento) piano di integrazione e ristrutturazione della nuova banca che il gruppo per il quale lavoro aveva appena acquisito. Da settembre sarebbe iniziato il lungo road show di presentazione del progetto. Mi aspettava un altro periodo di fuoco, con il trolley sempre in mano.
Avevo deciso di venire qui con Patty, compagna del liceo, dell’università, delle marachelle e soprattutto confidente unica di tutti i miei segreti ed i miei scazzi. È appena stata lasciata dal fidanzato con cui stava da cinque anni. È distrutta, alterna momenti di totale sconforto a momenti nei quali prova, ma non riesce, a godersi quella libertà involontariamente ritrovata.

E così, tra un’alba da cartolina contemplata dal patio della nostra casetta sul mare, un paio di romanzi, un’abbronzatura che progredisce velocemente e delle abbondanti colazioni nel suddetto bar ho deciso di provare “l’esperienza di respirare sott’acqua”.

Il vichingo mi fa accomodare sul terrazzo interno. Ci sediamo attorno ad un tavolaccio di legno marcio e, in mezzo ad una miriade di mute appese gocciolanti e puzzolenti, inizia a spiegarmi brevemente che cosa faremo nelle prossime due ore. Mi tratta con sufficienza e mentre parla, svaccato sulla sedia, gesticola freneticamente con le mani. Mentre ascolta, le rare volte che mi lascia parlare, si regge la testa con le mani, come se le cose che gli sto dicendo lo annoiassero.
Mi parla della pressione dell’aria e degli effetti che la pressione avrà sul mio corpo mentre scenderò sott’acqua. Mi racconta di quanto pesi l’acqua e mi spiega che un palloncino pieno d’aria se immerso nell’acqua si rimpicciolisce. Mi spiega gli effetti sul mio corpo che l’aumento della pressione provocherà. Mi insegna a compensare.
Dialoga con sicurezza, mi da l’idea che sappia perfettamente ciò che dice. Man mano che va avanti con le spiegazioni mi rendo conto di quanto sia preparato in materia. Argomenta la fisica applicata alla subacquea con la stessa semplicità con la quale io disegno un’organigramma e con la stessa autorità con la quale lo presento al consiglio di amministrazione.
Rimango ammaliata quando inizia a disegnare, con tratto sicuro, su una lavagna l’orecchio umano. Ascolto con la bocca spalancata la descrizione dell’orecchio interno, del canale auricolare, del timpano e della Tuba di Eustachio.
Poi si sposta per raccattare tutta una serie di cose che appoggia poco delicatamente a terra. Poco delicatamente significa che le butta in terra una sopra l’altra. Quel cumulo di roba sarà la mia attrezzatura, quella che mi servirà per andare sott’acqua. Mi spiega la funzione di ogni pezzo, da ciò che già conosco tipo maschera e pinne alla bombola, agli erogatori ed un giubbotto, tipo zainetto, che lui chiama GAV. Mi dimostra come si assembla il tutto e poi smonta per farlo fare a me. Segue i miei movimenti con molta attenzione e quando sbaglio è pronto a correggermi senza puntualizzare troppo l’errore. Anzi coglie l’occasione per spiegarmi perché si fa in quel modo e non come avrei fatto io. Penso che dovrei imparare a comportarmi cosi con il mio stuolo di assistenti che invece solitamente riprendo urlando come una dannata isterica.
Poi sceglie una muta, tra le tante appoggiate ad un filo da stendere che a fatica cerca di reggere quel peso immane. Mi dice di provarla ma che è sicuro che mi andrà bene. E mentre inizio ad indossarla e conseguentemente inizio a grondare sudore per la fatica lui torna a sedere e si accende una sigaretta. E riprende a guardarmi con sufficienza mentre espira una nuvola di fumo.

“Siamo pronti” mi dice non appena ho finito di indossare questo dannato pezzo di gomma che mi dovrebbe proteggere dal freddo e che invece mi sta facendo morire di caldo. Si carica la mia e la sua bombola (con tutto il resto attaccato) sulle spalle e si dirige con fare sicuro e baldanzoso verso la baia. Lui a piedi nudi sui ciottoli della stradina che ci conduce al mare ed io con le mie ciabattine di Prada ed una muta orribile addosso. Patty è in spiaggia, sdraiata sul lettino e sfoglia una rivista di gossip. Incrocio il suo sguardo e mi sento una rincoglionita.

Ora siamo seduti sul pontile, ho già la mia attrezzatura sulle spalle. Il vichingo mi spiega che ci immergeremo nel bacino d’acqua delimitato da una serie di boe. Mi dice che lì siamo al sicuro perché l’acqua è profonda al massimo 4 metri e perché le barche non possono entrare. Poi mi spiega alcuni esercizi che eseguiremo. Anche stavolta lo fa in modo semplice cercando di farmi capire il motivo per cui devo imparare queste cose. Mi fa sentire così tranquilla che non mi spaventa nemmeno l’idea di far entrare dell’acqua dentro alla mia maschera mentre sono sott’acqua. Anzi, non vedo l’ora di provarci.

Una piccola torsione su me stessa e sono a bagno. Sento il piacere dell’acqua fresca che entra nella muta mentre galleggio come una papera. Poi il vichingo afferra lo spallaccio di quella specie di zaino che ha chiamato GAV, mi fa mettere l’erogatore in bocca, mi ricorda di compensare immediatamente e puff… Sono sott’acqua, non sento altro rumore che la mia respirazione un po’ affannata. Lui delicatamente preme un pulsante del tubo corrugato del mio jacket (è l’altro nome del GAV) e mi fa il segnale con cui chiede se va tutto bene. Va tutto a meraviglia vorrei dirgli, peccato che non mi ricordi come comunicarglielo. Alzo il pollice in segno di approvazione mentre lui sornione mi fa un cenno di ok unendo pollice e medio. “Cazzarola me lo aveva anche spiegato” penso fra me e me e, per la prima volta da non so quanto tempo, sento che sto rinunciando alla mania di avere sempre tutto sotto controllo. Il perfetto manager milanese, con la settimana rigidamente programmata, sta fluttuando liberamente, in assenza di peso, nelle acque cristalline di questa meravigliosa baia.

Se volete sapere come fa a finire l’avventura di Arianna, la top manager milanese alle prese con il battesimo del mare, tornate su UnderwaterTales la prossima settimana.

👌