La battaglia delle Egadi

Fotografia di copertina: Derk Remmers

 

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Una battaglia che cambiò le sorti delle future generazioni. La ricostruzione storica e gli straordinari ritrovamenti fatti dai subacquei della GUE nelle acque dell’arcipelago delle Isole Egadi.

Il 10 marzo del 241 a.C. è un giorno fondamentale per la storia della Sicilia e probabilmente non solo di essa. È il giorno in cui diventa definitivamente terra d’occidente, su cui aleggia già la fisionomia del futuro impero romano.

Se l’esito della spettacolare ed avvincente battaglia che si svolse in quel giorno fosse stato un altro forse le sorti della nostra penisola avrebbero potuto essere molto diverse e noi saremmo potuti crescere in un sistema economico, culturale e politico decisamente differente.

Le milizie cartaginesi, comandate da Amilcare, erano assediate sul versante nord orientale del monte Erice, che sovrasta Trapani. I romani tenevano saldamente il presidio della vetta e delle pendici occidentali lasciando libero soltanto un piccolo corridoio di mare nei pressi dell’attuale baia di Bonagia. La situazione, per i cartaginesi, era ancor più aggravata dal fatto che la flotta romana occupava anche le acque antistanti Trapani e Marsala.
Pur di soccorrere Amilcare, i punici approntarono una flotta navale che al comando dell’ammiraglio Annone partì dal porto di Cartagine per raggiungere Marettimo, nell’arcipelago delle isole Egadi.

Posso raccontarvi questa storia grazie all’instancabile attività di documentazione del sito archeologico delle Isole Egadi da parte del Professor Sebastiano Tusa, Soprintendente del Mare della Regione Siciliana, della RPM Nautical Foundation e di Mario Arena e Francesco Spaggiari della GUE (Global Underwater Explorer), un’associazione internazionale di esploratori e ricercatori subacquei specializzata in operazioni di ricerca e studio dell’ambiente acquatico.

Il contesto storico

La battagli delle Egadi fu la battaglia navale che pose fine alla prima guerra punica.
Cartagine, dopo oltre un ventennio di duri scontri navali e terrestri, si era economicamente dissanguata ed i suoi commerci erano drammaticamente rallentati con una conseguente diminuzione delle entrate.
Anche Roma cominciava ad aver qualche problema nel reperire le risorse necessarie per finanziare la guerra e aveva dovuto sopportare ingenti costi sia per sostenere le infinite battaglie che per sopportare le enormi perdite che gli avversari le avevano inferto soprattutto negli scontri navali.
Inoltre Roma avendo un’esperienza navale inferiore rispetto al suo avversario aveva dovuto investire parecchie risorse per studiare, copiare e migliorare le potenti imbarcazioni cartaginesi.
Per proseguire nella guerra fu addirittura necessario attingere ai finanziamenti di capitali da parte dei privati cittadini che pretendevano però di rivalersi sugli eventuali bottini ricavati dalle vittorie.

Nonostante ciò, per la terza volta, Roma decise di tornare sul mare per cercare di chiudere definitivamente la partita.

La battaglia

Annone, all’alba del 10 marzo del 241 a.C., invogliato da una leggera brezza da sud che andava girando verso ovest, diede ordine alla sua flotta di salpare da Marettimo. Le navi erano cariche di ogni genere di conforto necessario alle truppe asserragliate sopra Trapani e il comandante riteneva che con il vento in poppa avrebbe potuto raggiungere rapidamente la costa occidentale della Sicilia, eludendo i pattugliamenti romani posti nel tratto di mare tra Trapani e Marsala.
L’astuto ammiraglio romano Gaio Lutazio Catulo intuì la mossa e pose la sua flotta al riparo dell’altura di Capo Grosso, a Levanzo, l’isola più piccola dell’arcipelago delle Egadi. Non appena le navi cartaginesi si stavano avvicinando, diede l’ordine di mollare le cime e di salpare verso la flotta nemica. Le navi avversarie, lente a causa del carico, furono colte di sorpresa dall’agile attacco romano che scaraventò tutta la sua forza d’urto e di sorpresa. Lo scontro avvenne a circa 4 miglia ad nord ovest di Capo Grosso. Lo scompiglio tra le fila nemiche fu terribile, al punto che Annone diede ordine di alleggerire il carico addirittura tagliando gli alberi maestri.
Ma i romani avevano cambiato la maniera di costruire le navi, ne avevano aumentato la potenza aggiungendo una o due file di rematori mantenendo la stessa manovrabilità e soprattutto avevano copiato l’utilizzo dei rostri situati a prua. I rostri romani, più potenti ed evoluti, si rivelarono devastanti. Il risultato fu micidiale, i Romani affondarono 50 navi cartaginesi catturandone altre 70, provocando migliaia di morti.
A questo punto Annone, anche grazie al cambio di vento, che iniziò a spirare da nord est, ordinò la ritirata verso Cartagine. Amilcare, senza il supporto dei rifornimenti, dovette capitolare cedendo la Sicilia ai Romani. Dopo 24 anni si concluse così la prima guerra punica.

Le prime ricostruzioni

Per molto tempo si ritenne che la battaglia si fosse svolta nei pressi di una cala a Favignana, chiamata Cala Rossa grazie ad una leggenda che raccontava che il sangue dei caduti, trasportato dalla corrente, avesse tinto di rosso le acque di questa meravigliosa insenatura.
Vi era un’ulteriore elemento, in questo caso storicamente più valido e consistente, che corroborava questa tesi. Le fonti storiche infatti citano sempre “Aegussa” come luogo dove il comandante romano spostò la sua flotta. Questo toponimo indicava generalmente proprio l’isola di Favignana mentre quella di Levanzo veniva denominata in altro modo.

Ma non è andata così!!

Appuntamento alla prossima settimana

È proprio grazie allo straordinario lavoro di documentazione del Soprintendente, corroborato dalla passione per l’esplorazione subacquea di Mario Arena e Francesco Spaggiari, che la prossima settimana potrete leggere, anche tramite le parole dello stesso Spaggiari, tutto sulla ricostruzione storica di questo sensazionale episodio e soprattutto sui sensazionali ritrovamenti che sono stati fatti nel corso delle ultime campagne archeologiche svolte in questa zona.

Rimanete sintonizzati

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