I rostri della battaglia delle Egadi

Fotografia di copertina: Derk Remmers

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L’interazione tra i mezzi tecnologici e l’esploratore subacqueo fanno riemergere tesori che testimoniano la battaglia delle battaglie.

Una storia che ha dell’incredibile. L’ essere umano, ovvero l’esploratore subacqueo, scopre cose che la più moderna ed evoluta tecnologia non è ancora riuscita a scovare. La storia di tre settimane di immersioni e di ricerche che hanno impresso una clamorosa accelerazione al progetto di ricerca nel sito in cui si è svolta la battaglia delle battaglie: l’epica battaglia delle Egadi.

Il contesto

Dal 2005 le acque circostanti l’isola di Levanzo, nell’arcipelago delle Egadi, sono sistematicamente monitorate grazie alla collaborazione tra la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e la RPM Nautical Foundation.
Le ricerche sono condotte grazie all’ausilio della nave oceanografica Hercules dotata di sistemi di ricognizione molto sofisticati come sonar a scansione laterale multibeam, utili per individuare sul fondale elementi di grande interesse storico e archeologico.
A questi strumenti si aggiunge un veicolo subacqueo filoguidato, detto ROV, dotato di telecamere, bracci per il recupero di oggetti e sorbona.
La ricerca, che a causa delle eccessive profondità delle acque non prevede l’immersione diretta del subacqueo, è stata condotta percorrendo dei regolari corridoi di mare adiacenti. Sino ad oggi sono stati ispezionati ben 210 chilometri quadrati di fondale.
In pochi anni di ricerca sono stati recuperati reperti di enorme valore storico, archeologico, tecnico ed artistico.
Le ricerche ed i loro risultati hanno permesso di identificare e ricostruire il teatro della battaglia delle Egadi, evento storico sul quale la scorsa settimana ho posto la mia attenzione.
In particolare questa attività di ricerca ha permesso di sfatare il mito della Cala Rossa di Favignana, che per molto tempo fu considerata come teatro della battaglia.

Mi racconta tutto il mio amico Francesco Spaggiari, esploratore subacqueo della GUE (Global Underwater Explorers) che dal 2017 partecipa fattivamente alle attività di ricerche con un gruppo composto dai migliori subacquei internazionali e capitanato da Mario Arena.
Francesco da molto tempo si occupa con ammirevole passione di esplorazione subacquea e nell’estate del 2010 fu il protagonista del sensazionale ritrovamento di un giacimento di monete puniche nelle acque di Cala Tramontana a Pantelleria.

Le prime scoperte

Il primo indizio che fece scattare l’interesse verso questo tratto di mare fu portato da un racconto di uno dei pionieri della subacquea siciliana, Cecè Palladino, che raccontò di aver trovato centinaia di ceppi d’ancora e relative contro marre e che era abitudine dei pescatori trapanesi e marsalesi di andare a ricercare piombo in quella zona per fonderlo e per farne pesi da rete. Si trovavano in una zona di mare inospitale e non adatta all’ormeggio, se non per esigenze del tutto particolari. Durante la prima perlustrazione, successiva a questa rivelazione, vennero rinvenute una decina di ceppi ed uno scandaglio in piombo.

La prima svolta avvenne nel 2004 quando, dopo la spontanea consegna, da parte di un pescatore locale, di un elmo in bronzo in uso proprio dai romani in quella battaglia fu scoperto, durante un’operazione del nucleo tutela del patrimonio culturale da parte dei Carabinieri, un rostro nello studio di un dentista trapanese.

Fu a questo punto che avvenne il felice incontro tra la RPM Nautical Foundation e la Soprintendenza che negli anni successivi portò al ritrovamento di ben 10 rostri, numerosi elmi, anfore, ceramiche e chiodi.

Queste conferme hanno consentito non solo di ricostruire perfettamente che cosa avvenne all’alba del 10 marzo 241 a.C. ma di dare una precisa identificazione geografica al luogo dove la battaglia avvenne.

Le campagne di ricerca del 2017

E arriviamo ai giorni nostri.
Francesco Spaggiari, ed il team di esploratori subacquei, arrivano alle Isole Egadi ad aprile del 2017 con il compito di contestualizzare l’ultimo rostro individuato dalla RPM Nautical Foundation nel 2014 e non ancora recuperato.
Per la prima volta in questo lungo lavoro di ricerca fu introdotta l’interazione tra i mezzi tecnologici all’avanguardia ed il lavoro dell’essere umano, ovvero l’esploratore subacqueo.
Durante questa parte di ricerca, durata una sola settimana, il team di ricerca individua il rostro non recuperato ma non riesce a portarne a termine il recupero a causa sia delle condizioni del mare sia del particolare contesto in cui si trova il rostro stesso, parzialmente insabbiato.
Ma durante queste immersioni di ricerca vengono individuati un nuovo rostro, che non era mai stato evidenziato dalle ricerche precedenti, ed un nuovo elmo.
Ritornano ad ottobre per una campagna di tre settimane.
In questo arco di tempo RPM Nautical Foundation riesce a riportare in superficie il rostro precedentemente non recuperato, l’undicesimo della lista.
Nelle tre settimane di ottobre la ricerca dei subacquei porta a raggiungere dei risultati epici. La missione ritrova e recupera altri due rostri e dieci elmi!

Uno dei due rostri è romano ed è molto simile ad un altro recuperato nella zona di Messina, ad Acqualadroni, sia per la particolarità della costruzione che per la decorazione. Lo studio di questo rostro può aggiungere nuove informazioni per gli archeologi come ad esempio il fatto che potessero rappresentare, come dei vessilli, le città che li costruivano. Questa informazione si aggiunge alle iscrizioni che appaiono su tutti i rostri romani ritrovati, le quali possono far pensare al fatto che ogni rostro avesse un sigillo di garanzia che certificava che fosse stato costruito con il contributo economico delle famiglie nobili romane.

Gli elmi recuperati, di tipo Montefortino, sono tutti appartenuti a soldati romani. Gli elmi romani, tutti in bronzo, erano molto semplici, con una decorazione in testa simile ad una pigna e i paraorecchie ed il paracollo non saldati alla struttura portante.
Tra i dieci recuperati una ha una particolarità. Presenta infatti una decorazione unica e raffigurante il “leontè”, l’invincibile leone di Nemè sconfitto da Ercole. La leggenda narra che Ercole, dopo questa fatica, si proteggesse sempre con la pelle del leone, come se la sua invincibilità fosse dovuta proprio ad essa.

Nuove domande

Questi sensazionali ritrovamenti ci obbligano però a farci nuove domande.
Sono stati ritrovati ad oggi tredici rostri, di cui undici romani e solo due cartaginesi.
Perché, se i romani vinsero la battaglia delle Egadi, si sono ritrovati più rostri romani che cartaginesi? Può essere che i cartaginesi fossero stati presi così di sorpresa che non contro attaccarono? Quanti altri rostri le acque delle Egadi conservano?
È stato ritrovato un elmo che ha delle decorazioni particolari e mai ritrovate in altri reperti.
A chi apparteneva? Ad un comandante? Ad un nobile? O semplicemente ad un soldato bisognoso di forza?

Le scoperte ci permettono di ricostruire gli episodi cruciali della nostra storia ma ogni volta aggiungono nuove domande alle quali solo nuove scoperte potranno dare risposte.

La prossima estate gli esploratori della GUE saranno di nuovo in quelle acque per proseguire con le loro ricerche e per darci sempre nuove chiavi di lettura sul nostro passato.

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